Pochi giorni fa tra gli scaffali “prima colazione” di un ipermercato mi sono imbattuto in una confezione di cereali che riportava sul packaging la famosa etichetta “Nutri-Score”. Sullo scaffale era poi presente un evidenziatore che invitava il consumatore in cerca di maggiori informazioni a scansionare un QR-code o guardare la locandina presente nel punto vendita (dove fosse, non era però dato saperlo).
Come forse i più sapranno “Nutri-score” è un sistema di etichettatura dei prodotti alimentari proposto in Francia (simile ai “semafori” proposti dalla FSA inglese) il cui obiettivo finale è fornire a informazioni ai consumatori sui valori nutrizionali di un alimento, aiutandolo a distinguere i prodotti sani da quelli meno; il tutto in base a una scala fatta di cinque colori e lettere, dove “A” in colore verde rappresenta un prodotto alimentare considerato sano (per i curiosi il livello dei cereali di cui sopra era “C”).
Non entro nel merito delle polemiche rispetto all’eventuale adozione di questa etichettatura in tutta l’Unione Europea- che sul tema ha lanciato un’ambizioso programma denominato “Farm to Fork Strategy” per guidare i cittadini europei verso un sistema alimentare più sano e sostenibile- piuttosto mi interessa evidenziare un altro punto.
Il mondo food è già pieno di sigle ed etichette, talvolta trovate del marketing più che reali portatrici di valore per i consumatori che le guardano spesso con un misto di agnosticismo, diffidenza e speranza.
Quindi se rappresentassi una delle categorie che oggi si sentono minacciate dal “Nutri-Score” non mi preoccuperei tanto dell’aggiunta di questa nuova etichetta, quanto di lavorare seriamente per creare quella cultura della buona alimentazione che è unico efficace antidoto alle trovate markettare di chi pensa di dare risposte banali a problemi complessi.
@danielecazzani
