“Iper, super, discount, cash & carry…”. Questa, più o meno, è la risposta di chatGPT alla domanda “quali sono i format della distribuzione moderna?”
Una fotografia politically correct ma che non registra le modifiche avvenute negli ultimi anni.
Abbiamo, infatti, osservato gli ipermercati ridurre superfici e assortimenti, sacrificando così la loro anima non food per provare a competere nell’affollato mondo del food.
Per converso vi è stato un trading up dei discount che dopo avere introdotto i reparti freschi hanno poi raffinato i layout, gli stessi assortimenti e la propria comunicazione.
Oltre a questo sfumarsi dei confini identitari dei format citati dall’AI- potremmo parlare di una deriva dei continenti al contrario!- l’altro fenomeno cui assistiamo è la nascita di nuovi format.
La novità è talvolta nella loro location, nelle scelte di ampiezza e profondità dell’assortimento, nell’integrazione con servizi omnichannel (click & collect), piuttosto che nell’adozione di soluzioni tecnologiche innovative per la fase di check-out. La fantasia certamente non manca!
Spesso però questi “nuovi format” non rispondono a chiari obiettivi strategici delle insegne: “non abbiamo obiettivi; vedremo e valuteremo… dopo tutto si tratta di un test” mi rispose un giorno un direttore commerciale a margine di una presentazione!?
Si tratta solo di un aneddoto ma è chiaro che se questi sono i presupposti non c’è da stupirsi che spesso questi nuovi format rimangano degli unicum, difficili da inquadrare per i consumatori e inefficienti nella gestione.
Un nuovo format dovrebbe invece essere progettato come una risposta alle esigenze dei consumatori: se questo passaggio manca, il rischio è che per i propri clienti questi decantati nuovi progetti si trasformino velocemente in insapidi (s)formati.
