DI SEGUITO IL MIO RESOCONTO DEL WORKSHOP DEL 12 FEBBRAIO 2025 ORGANIZZATO DA RETAIL INSTITUTE ITALY SUL FUTURO DELLA LOYALTY
La loyalty ha un grande passato alle spalle- dopo tutto i primi bollini negli USA risalgono al 1851, no?- e potrebbe avere un importante futuro di fronte a sé.
Questa è la convinzione che ho maturato a valle del workshop dedicato alla Loyalty organizzato mercoledì 12 febbraio da Retail Institute in collaborazione con Dunnhumby e MarkUp.
Prima di spiegare il motivo per cui poco sopra ho utilizzato il condizionale, iniziamo dal contesto.
Per quanto risulti spesso difficile per un manager alzare lo sguardo e capire cos’ha attorno a sé la Prof.ssa Chiara Mauri della SDA Bocconi ha iniziato proprio dal contesto, ricordando ai numerosi partecipanti come sia fondamentale dedicare del tempo per capirlo e poter poi prendere le scelte corrette.
In estrema sintesi, è sotto gli occhi di tutti come negli ultimi anni il Retail (non solo quello food) si sia avvicinato al cliente, cercando tramite la prossimità (pensiamo a laEsse di Esselunga o ai format più piccoli di Mediaworld) di compensare l’altro fenomeno, ovvero quello della iper-competizione.
Oggi, infatti, i consumatori, per qualsiasi tipo di necessità, hanno a disposizione una molteplicità di canali e opzioni di acquisto che ha portato a una sempre maggiore infedeltà: per convincersene, senza accedere a sofisticate indagini sociologiche, basterebbe osservare il caleidoscopio di borse di diverse insegne presenti nei carrelli di un qualsiasi supermercato.
Tempo, esperienza e vicinanza sono diventati fattori sempre più importanti nelle nostre scelte di consumo. Fattori, questi, da tradurre nei diversi aspetti della customer experience; come testimoniano gli investimenti sul fronte dei pagamenti, piuttosto che la sempre maggiore servitization del retail o, ancora, la vicinanza al consumatore espressa anche tramite assortimenti mirati, pensati per specifici micro-territori.
In questo contesto, e torniamo così al focus del workshop, quale dovrebbe essere il ruolo della loyalty?
Marco Metti, che ha introdotto i lavori con una stimolante presentazione, ha ricordato a tutti come la loyalty sia chiamata in primis a essere collettore di dati.
Tutt’altro che banale come punto di partenza, per un settore che ha sempre più bisogno di risorse- come ha ricordato anche il Presidente di Retail Institute Italy Marco Zanardi- e che si sta muovendo, a velocità alterne e con qualche titubanza, verso il retail media. Una direzione dal grande potenziale che per essere colto necessita di una voluminosa (e ben organizzata) base dati di qualità.
Forti, forse, anche di questa (nuova?) consapevolezza che oltre il 90% dei manager interrogati da una survey di Dunnhumby hanno confermato di essere al lavoro sui propri programmi di loyalty, avendo come stelle polari la ricerca di una maggiore efficienza ed efficacia.
Ottimo. Ma in che direzione?
Il primo rischio da evitare è che i programmi fedeltà rimangano delle commodity, come ha provocatoriamente ricordato Francesco Oldani di MarkUp.
In effetti, il meccanismo 1 euro = 1 punto (al netto di qualche minima differenziazione) sembra più che un mantra per il retail, un disco rotto per il cliente.
Questa consapevolezza sembra diffusa anche tra i retailer: in molti hanno introdotto elementi di servizio per il cliente fidelizzato che vanno oltre il consueto catalogo premi, che viene considerato sempre più un “male necessario” più che un fattore discriminante nelle scelte di consumatori, sempre più attenti alla traduzione dei punti in buoni sconto più che in padelle e affini.
Partendo poi dalla constatazione che in momenti di difficoltà uno dei primi budget su cui si abbatte l’ascia della spending review è proprio quello dei programmi loyalty (spesso con effetti controproducenti), una delle scelte fondamentali è decidere dove e come investire le risorse: nel volantino (sconti per i titolari della tessera fedeltà)? Nel catalogo premi? Nel CRM?
Suggerirei al Retail di valorizzare proprio quest’ultima leva.
La mole di dati prodotti da un programma fedeltà, prima ancora che per alimentare i progetti di retail media, dovrebbe infatti essere utilizzata per una customizzazione dell’esperienza offerta ai propri clienti, in termini di promozioni, prezzi, servizi e altri aspetti intangibili. Il tutto partendo da una selezione dei dati business-sensitive che non può essere affidata all’AI (che invece, potrà aiutare a gestirli al meglio). Potrei citare qui l’esempio di Alan, riportato dalla Prof.ssa Mauri, che costituisce un perfetto business case da studiare che qui non posso approfondire.
“I bisogni sono stati sostituiti dai desideri” ha ricordato Marco Zanardi: lavorare quindi solo su aspetti razionali dei programmi rischia di non essere più sufficiente.
La loyalty deve essere quindi strumento di relazione con due obiettivi ben chiari: retention e valorizzazione dei clienti.
Purtroppo, sono ancora pochi i retailer a misurare il customer lifetime value. In modo piuttosto kafkiano direi, trattandosi di una funzione basata sui numeri, la mancanza di specifici e condivisi kpis costituisce una grave lacuna; è necessario andare oltre il calcolo dell’ROI delle iniziative di loyalty- calcolo tutt’altro che facile come emerso dalle testimonianze di tanti manager presenti al workshop…- e misurare ad esempio l’impatto delle iniziative di loyalty sulla soddisfazione dei clienti e sul loro brand engagement.
L’altro punto imprescindibile è il coinvolgimento delle persone delle organizzazioni retail: i programmi loyalty non possono essere viste come “monadi” all’interno delle strategie aziendali, ma devono permearne value proposition e, soprattutto, vedere nei dipendenti i più entusiasti loyalty ambassador (invito a verificare quanto oggi, in tante realtà, un addetto vendita sia in grado di raccontare i reali vantaggi di un programma fedeltà).
Tornando alle mie prime righe di questo articolo, ecco spiegato il motivo del condizionale: non ho alcuni dubbi che vi siano oggi tutti gli elementi per far compiere alla loyalty un importante salto evolutivo, ma la misura in cui questa opportunità sarà colta- per portare le più avvedute organizzazioni a divenire “customer loyal”- dipenderà dalla capacità delle leadership del retail di attivare le corrette risorse economiche e organizzative (interne o esterne) mettendo sempre al centro delle proprie scelte i propri clienti.
