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RETAIL MEDIA: MIRAGGIO OD OPPORTUNITÀ?

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RESOCONTO PER RETAIL INSTITUTE ITALY REDATTO A VALLE DELL’EVENTO RETAIL TOMORROW DEL 13.03.2025

Lo scorso 13 marzo era sufficiente osservare la sala gremita e attenta dell’ultimo Retail Tomorrow per capire quanto il tema del Retail Media sia oggi tra le priorità del settore.

Partiamo da un aspetto terminologico, tutt’altro che scontato.

Cosa si intende per Retail Media? Il Prof. Noci nel suo intervento ho provato a darne una definizione come “spazio di comunicazione verso la customer base” insistendo molto sul fatto che il Retail torna a essere protagonista per il fatto di essere il punto più prossimo al momento di acquisto, sia questo un sito di e-commerce o un negozio fisico.

A ben pensarci, questa di per sé non sarebbe una novità se non fosse per il fatto che il Retail può mettere a disposizione la sua conoscenza (ovvero i suoi dati) per “colorare i clienti” e individuare quindi target di alta qualità per la comunicazione.

In questo passaggio è insita una grande sfida culturale e organizzativa: il Retail deve infatti smettere di viversi come mero “muscolo logistico” (cito qui questa splendida, dura ma efficace, definizione del Prof.Noci) e iniziare a vedersi come trasformatore e valorizzatore di dati; le organizzazioni sono ancora pensate nella logica della distribuzione mentre andranno (o andrebbero) ripensate e orientate al cliente.

Sembrerebbe siano quindi i dati a caratterizzare il Retail Media ma, come accennavo, all’inizio la definizione di questo perimetro non vede tutti d’accordo.

In molti interventi, parlando soprattutto delle opportunità offerte dai punti vendita della GDO, sono stati citati quali touchpoints i carrelli della spesa, la barriera casse o antitaccheggio e via dicendo; ovvero una serie di spazi sconnessi dai dati e che anche in passato sono stati utilizzati da Retailer come fonte addizionale (per quanto residuale) di ricavi…

Se proviamo a dare per assodato che siano i dati a caratterizzare il nuovo Retail Media, non posso che concordare con Marco Metti di Dunnhumby- autore di un intervento appassionato e incisivo- quando afferma che “il Retail Media non è una prescrizione del medico”, ovvero che non tutti sono obbligati a farlo. 

La realtà, infatti, è che non tutti sono pronti per farlo: la capacità di raccogliere dati in modo qualitativo non è dote diffusa spesso per lacune lato IT ma ancora più spesso per una mancata cultura del dato e del suo valore all’interno dell’organizzazione.

Come avrebbe detto il Prof.Manzi… “non è mai troppo tardi” per iniziare a farlo e provare a cogliere un’opportunità così potenzialmente ghiotta per un Retail da un lato, alla disperata ricerca di nuove revenues e, dall’altro lato, costretto a fronteggiare budget marketing sempre più stretti.

È emerso chiaramente come obiettivo del Retail Media debba quindi essere quello di aggredire il budget dei centri media, affermandosi come canale in grado di offrire, se non sempre audience pari in termini di volumi a quelli di altri media, certamente target più qualificati.

Il rischio che nessuno pare voler correre è infatti quello di cannibalizzare i budget destinati ad esempio al trade marketing, certamente per evitare attriti all’interno delle organizzazioni ma anche per non correre il rischio che tanto sforzo si traduca solo in una travaso dello stesso ammontare di risorse da un budget all’altro (appunto, dal trade al marketing ad esempio).

Affinché questo obiettivo, assolutamente condivisibile, possa essere raggiunto però è necessario definire chi sia l’owner del Retail Media.

Sul punto si è registrata una certa unanimità nel ritenere che il buyer non sia il corretto attore, individuando invece nel Marketing la funzione chiamata a giocare un ruolo da protagonista in questa partita; ciò comunque richiede che le attuali organizzazioni si dotino di nuove competenze attingendo, ad esempio, proprio al mondo dei media.

Questo “movimento organizzativo” potrebbe finalmente riportare anche il CRM al centro dell’attenzione, in quanto “custode” dei dati e della relazione col cliente; potrebbe essere questo uno stimolo, magari involontario, verso approcci più customer centrici.

Eccoci però arrivati al tema centrale, più ancora di quello tecnologico, ovvero l’organizzazione e le competenze.

Gli esempi di chi, anche fuori dai confini nazionali, ha maturato più esperienza in questo nuovo campo, ci dicono come, per essere realmente efficace, il Retail Media si debba configurare come una vera e propria infrastruttura commerciale all’interno delle organizzazioni, ponendo con questo numerose domande cui i leader devono dare risposta, dando per assodato la precondizione affinché qualcosa succeda, ovvero il loro commitment.

In primis debbono essere definiti nuovi equilibri e relazioni tra marketing e commerciale; quindi, è necessario fare un assesment delle competenze presenti e di quelle necessarie, scegliendo se organizzarsi internamente, esternamente o adottare soluzioni ibride. 

Questa necessaria riorganizzazione interna non può non avere un riflesso anche nei rapporti coi fornitori e coi centri media: anche questi soggetti, infatti, di fronte alla novità costituita dal Retail Media saranno verosimilmente chiamati a dotarsi di nuove competenze e organizzazioni.

Commitment della C-suite, tecnologia e dati, organizzazione e competenze sono pre- condizioni per il successo ma… come si misurerà l’efficacia e quindi il successo del Retail Media?

Certamente un primo indicatore sarà ovviamente dato dal valore aggiunto che questo genererà per il Retailer, per quanto nessuno abbia voluto dichiarare l’altezza di questa asticella, a dimostrazione del fatto che di troviamo ancora in una prima fase dove la cautela regna padrona.

Non possiamo non introdurre qui il tema della misurazione di questo “nuovo” canale. 

Anche nelle tavole rotonde del pomeriggio è emerso come possa essere difficile calcolare un ROI del Retail Media inserendo nell’equazione l’impatto sulle vendite, sia perché non è affatto detto che l’obiettivo finale sia quello- si potrebbe infatti mirare ad obiettivi di brand awareness in alcuni casi- sia per la difficoltà di valutare l’impatto di uno specifico canale, sapendo quanto spesso vi siano in sovrapposizione altri “media” (il volantino ad esempio ma anche le sopra citate attività di trade marketing).

Una soluzione potrebbe essere affidarsi semplicemente alle metriche proprie del mondo dei centri media, perdendo però così uno dei valori aggiunti dati da un’architettura che dovrebbe partire dalla conoscenza del cliente e a questa tornare, in termini di comportamento risultante dall’esposizione al messaggio tramite i nuovi canali.

In conclusione, se l’opportunità sembra già oggi a tutti chiara, dobbiamo ammettere come non tutti oggi siano pronti per affrontarla.

Inoltre, la poca chiarezza sul perimetro di questa nuova area di business, così come le evidenti sfide tecnologiche e organizzative interne ed esterne (relazioni con fornitori e centri media), la mancanza di convergenza di un set di kpis condiviso ci dicono che la strada da percorrere è ancora molta, ma per certi versi obbligata.  

Una strada che porterà il Retail in nuovi territori, costringendoli a prendere sempre più consapevolezza del nuovo ecosistema in cui ci muoviamo e rivedendo giocoforza i modelli di business in ottica strategica, come ha suggerito nel suo intervento iniziale il Presidente di Retail Institute Marco Zanardi.